Hannah è una bambina di tre anni, viene a casa mia con i suoi genitori una volta alla settimana. Le pietre del Go già cominciano ad esercitare su di lei il loro sottile influsso incantatorio, le chiedono di essere riposte nei goke con ordine, le nere con le nere, le bianche con le bianche; lei preferisce le nere e ripone le nere, a me tocca riporre le bianche, e Hannah esige un ritmo preciso in questo, guai non andare a tempo…
Anche mio figlio mi ha visto fin da bambino maneggiare le pietre, abbiamo perfino fatto delle partite quando lui aveva un po’ meno di dieci anni. L’ho portato anche da Shigeno Sensei, che lo ha fatto giocare intervallando le partite con gli Origami.
Poi si è disinteressato al Go: Pokemon – Go uno a zero 🙂 Gli ho chiesto perché avessero vinto i Pokemon: il Go era solo bianco e nero, e il suo papà troppo serio…
Eppure 10 anni dopo mi vede ancora giocare a Go, e gli viene voglia di riprovare. Anche lui viene a trovarmi una volta alla settimana, e spesso facciamo una o più partite. Partite semplici di impostazione strategica, flussi scorrevoli di pietre, nessuno studio.
Mio figlio oggi, dopo un intervallo di 10 anni e dopo poche partite, è perfettamente in grado di giocare con me alla pari e vincere. Le nostre partite non sono sfide, sono uno stare insieme e un guardare serenamente come si sviluppa la nostra relazione sul goban, erroracci e colpi di genio compresi :-).
E così possiamo confidarci le nostre debolezze e difetti, scambiarci opinioni ed esperienze, perfino darci dei consigli. Si crea un ponte tra le nostre generazioni. Si fa da sé, il Go come catalizzatore di fusione di sensibilità.
http://www.youtube.com/watch?v=_QQ8_grqXQc